Immergendomi nel suo profondo di civilità

Supero, con fatica, la tentazione di mettere su un disco dei Madredeus e andare a leggere un blog curato da un italiano su come vivere a Lisbona, e cerco il brano di un libro che mi gira in testa da giorni.

Il ladro si era seduto sul letto, stava dicendo, Merda, dov’è che si piscia in questo posto, Ma come parla, c’è un bambino, protestò la ragazza dagli occhiali scuri, Sì, sì, bella mia, ma, o trovi un posto o la tua creaturina se la farà nei pantaloni. Disse la moglie del medico, Forse posso trovare io i gabinetti, mi ricordo di avere sentito un certo odore, Vengo con lei, disse la ragazza dagli occhiali scuri, tenendo per mano il ragazzino, Penso sia meglio andare tutti, osservò il medico, così impareremo la strada per quando ne avremo bisogno, Ti ho capito, pensò il ladro della macchina, ma non si azzardò a dirlo a voce alta, tu non vuoi che la tua mogliettina debba accompagnarmi a pisciare ogni volta che ne ho voglia. Il pensiero, per quell’implicito secondo senso, gli provocò una piccola erezione che lo sorprese, come se il fatto di essere cieco dovesse aver avuto come conseguenza la perdita o la diminuzione del desiderio sessuale, Bene, pensò, in definitiva non tutto è perduto, tra morti e feriti qualcuno scamperà, e poi, estraniandosi dalla conversazione, cominciò a fantasticare.

Scriveva così José Saramago. Esortando tutti noi a non rinunciare a tenere gli occhi aperti.

Sosta a un autogrill. Al termine, l’appello di quaranta e passa storie di umanissima normalità. Un giorno o l’altro mi troverò a scrivere un libro sulla generazione Flixbus, i pullman low cost che attraversano in lungo e largo l’Europa luogo di incontro e di incrocio di gente di ogni nazionalità europea e non, studenti, migranti, lavoratori. Altro che Erasmus, sono gli eterni viaggi sui pullman a basso costo e wi-fi a bordo che raccontano un’integrazione nei fatti e la negazione dei nazionalismi sovranisti nel nostro Continente. Nell’epoca dei rider e di Ryanair, sono forse le vecchie “corriere” (ma ad alta tecnologia) a essersi modificate nel simbolo della trasformazione post nazionale. Il viaggiare lenti, accompagnati da voci di ogni dove. Un bambino marocchino che gioca con i miei auricolari, una coppia di studenti che ripassa una lezione, una signora anziana che manda un messaggio su WhatsApp ai nipotini, un operaio che dorme russando lievemente mentre torna a casa per le ferie, due giovani senegalesi che stanno raggiungendo il nord dell’Europa reduci da chissà quale odissea che ne segna ancora lo sguardo, un gruppo di rumorosi turisti spagnoli. Il mio taccuino e un libro, L’infinito viaggiare di Claudio Magris a farmi compagnia:

Oltrepassare frontiere; anche amarle – in quanto definiscono una realtà, un’individualità, le danno forma, salvandola così dall’indistinto – ma senza idolatrarle, senza farne idoli che esigono sacrifici di sangue. Saperle flessibili, provvisorie e periture, come un corpo umano, e perciò degne di essere amate; mortali, nel senso di soggette alla morte, come i viaggiatori,.non occasione e causa di morte, come lo sono state e lo sono tante volte

Sì, un giorno scriverò un libro su tutto questo. Intanto mi accontento di guardarlo immergendomi nel suo profondo di civiltà.

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