Nuove intimidazioni a Maniaci. E questa guerra che lo Stato sembra rifiutarsi di combattere

Periodicamente mi ritrovo a scrivere, indignato, l’ennesimo articolo di solidarietà per Pino Maniaci. Nel 2008 ero con lui quando fecero un falò della sua macchina davanti alla redazione di TeleJato, ed ero con lui tante volte in cui minacce e intimidazioni dirette e indirette lo hanno raggiunto. Qualcuna di quelle intimidazioni me le sono beccate anch’io, di riflesso. Capita se si vuole raccontare il Paese sul serio. Capita quando ci si schiera in prima fila accanto a gente di “malo carattere” come Pino. Quando oltre al rispetto del lavoro comune nasce un’amicizia.

Anche oggi scrivo. Perché a Partinico sono comparse scritte inneggianti alla mafia (e sul luogo di un omicidio di pochi giorni fa, e questo fa veramente pensare) e di minacce e insulto a Pino e ai suoi. Gente, quella di TeleJato, che non molla, e non mollerà.

Che la cultura mafiosa, anche d’accatto, non sia debellata in quello e in altri territori e che le “famiglie” continuino a operare come “ai bei tempi” è un dato di fatto. Queste ultime minacce ne sono l’ennesima dimostrazione.

Ma qui, e su questo, mi incazzo davvero. Perché non è possibile che in un paese come Partinico, con una presenza enorme di forze di polizia di ogni corpo (Carabinieri, Polizia di Stato e Finanza) e dove di tanto in tanto si annunciano con pompose conferenze stampa mirabolanti operazioni “definitive” contri le famiglie locali, sia possibile che chi lavora per la legalità e per la libera informazione sia continuamente minacciato, insultato, messo a rischio lui e i suoi familiari e collaboratori. Non è possibile. È una sconfitta, l’ennesima, l’apparizione di quelle scritte. È una sconfitta che io ed altri siamo costretti a scrivere, per l’ennesima volta, un articolo di questo genere. È una sconfitta per la civiltà e lo Stato.

Dove sono i presidi della legalità? Dove sono il controllo del territorio e l’inesorabile arretramento delle mafie? A Partinico? Non ci coglionate. Questa è una guerra. E questa è la guerra che lo Stato, e le istuzioni, non si possono permettere di non combattere.