Periodicamente mi ritrovo a scrivere, indignato, l’ennesimo articolo di solidarietà per Pino Maniaci. Nel 2008 ero con lui quando fecero un falò della sua macchina davanti alla redazione di TeleJato, ed ero con lui tante volte in cui minacce e intimidazioni dirette e indirette lo hanno raggiunto. Qualcuna di quelle intimidazioni me le sono beccate anch’io, di riflesso. Capita se si vuole raccontare il Paese sul serio. Capita quando ci si schiera in prima fila accanto a gente di “malo carattere” come Pino. Quando oltre al rispetto del lavoro comune nasce un’amicizia.
Anche oggi scrivo. Perché a Partinico sono comparse scritte inneggianti alla mafia (e sul luogo di un omicidio di pochi giorni fa, e questo fa veramente pensare) e di minacce e insulto a Pino e ai suoi. Gente, quella di TeleJato, che non molla, e non mollerà.
Che la cultura mafiosa, anche d’accatto, non sia debellata in quello e in altri territori e che le “famiglie” continuino a operare come “ai bei tempi” è un dato di fatto. Queste ultime minacce ne sono l’ennesima dimostrazione.
Ma qui, e su questo, mi incazzo davvero. Perché non è possibile che in un paese come Partinico, con una presenza enorme di forze di polizia di ogni corpo (Carabinieri, Polizia di Stato e Finanza) e dove di tanto in tanto si annunciano con pompose conferenze stampa mirabolanti operazioni “definitive” contri le famiglie locali, sia possibile che chi lavora per la legalità e per la libera informazione sia continuamente minacciato, insultato, messo a rischio lui e i suoi familiari e collaboratori. Non è possibile. È una sconfitta, l’ennesima, l’apparizione di quelle scritte. È una sconfitta che io ed altri siamo costretti a scrivere, per l’ennesima volta, un articolo di questo genere. È una sconfitta per la civiltà e lo Stato.
Dove sono i presidi della legalità? Dove sono il controllo del territorio e l’inesorabile arretramento delle mafie? A Partinico? Non ci coglionate. Questa è una guerra. E questa è la guerra che lo Stato, e le istuzioni, non si possono permettere di non combattere.
Pubblicato da Pietro Orsatti
Nato a Ferrara nel 1963, cresciuto a Roma, espatriato più volte per lavoro.
Ha collaborato per numerose testate giornalistiche italiane ed estere occupandosi di ambiente, lavoro, mafie e esteri. Ha lavorato presso il gruppo parlamentare verde (11esima legislatura) ed è stato uno dei membri dei comitati nazionali per i referendum “caccia” e “nucleare” del 1986. Ha avuto incarichi e lavorato in associazioni ambientaliste come Legambiente e Friends of the Earth. Ha realizzato progetti web e campagne per ActionAid, Anci, Un ponte per, Ricerca e Cooperazione. Ha lavorato e pubblicato, fra gli altri, per Diario fin dalla sua fondazione, il manifesto, Agenzia Dire, L’Unità, Editoriale la Repubblica (in particolare MicroMega), Carta, La Nuova Ecologia, Reporter, Arancia Blu, Modus, Liberazione, Rassegna Sindacale, Avvenimenti Left/Avvenimenti, Liberazione, Terra, AntimafiaDuemila, Dazebao News, Roma Report, Peace Reporter, I Siciliani giovani. Ha collaborato con Rai, Telesur, RedeBras e RadioPop, Radio Città Futura, Arcoiris.tv. E’ stato fondatore del progetto editoriale de Gli Italiani.
Ha, realizzato numerosi documentari sia come autore che regista e ha scritto per il teatro e curato la regia di alcuni spettacoli.
Come documentarista ha firmato i lungometraggi “Fome Zero Sede Zero” e “Lona Preta” (realizzati in Brasile) e “De Ma – Trasformazione e declino” finalista del festival “Cinema e Lavoro” promosso dalla Cgil nel 2007. Nello stesso anno ha girato un ritratto di Lidia Menapace “Ci dichiariamo nipoti politici”. Ha realizzato numerosi i mediometraggi In Italia, Brasile, Mozambico e Sud Africa, fra cui “Il lato umano”, “Utopia Luar”, “Get on Board”, “Sulla stessa barca”, “Gli angeli del Brasile”. Ha collaborato alla realizzazione dello spettacolo teatrale “Bambini a dondolo” di Giulio Cavalli e scritto e curato la regia degli spettacoli “Cantata dal basso”, “Clic” e “Il lampo verde”.
Ha pubblicato nel 2009, per la casa editrice Socialmente, il libro A schiena dritta; con Coppola editore L’Italia cantata dal basso (2011) e Segreto di Stato (2012); con Errant Editions gli ebook Roma – un reportage e Utopia Brasil e altri due ebook Il lampo verde e L’Era Alemanna in self publishing. Successivamente ha scritto per Imprimatur il libro inchiesta Grande Raccordo Criminale (2014), di cui è coautore insieme alla giornalista Floriana Bulfon, seguito da Roma brucia (2015), In morte di Don Masino (2016), Il bandito della Guerra fredda (2017) e con Antonio Ingroia Le trattative (2018). Con Imprimatur ha anche ricoperto l’incarico di curatore di collana e editor.
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4 pensieri riguardo “Nuove intimidazioni a Maniaci. E questa guerra che lo Stato sembra rifiutarsi di combattere”