Centocinquantasei denunce dal carcere, la protesta va in Europa

carcereGiustizia Mentre nei penitenziari si attende con timore l’effetto del decreto sicurezza e del nuovo reato di clandestinità, la contestazione pacifica dilaga in tutta Italia. In discussione il sistema delle pene e le politiche repressive del governo

di Pietro Orsatti su Terra

È iniziata a Ferragosto, poi dilagando in mezza Italia, la protesta dei detenuti delle carceri del Bel Paese (che poi proprio bello da dietro le sbarre non è). Proteste pacifiche, in molti casi svoltesi addirittura in un clima di collaborazione con il personale penitenziario, che stanno facendo emergere il reale stato delle nostre prigioni dove . Nelle ultime ore anche a Trento, in forma inedita, centocinquantasei detenuti hanno presentato una denuncia ed una richiesta di indennizzo a causa «di condizioni di vita all’interno della struttura che non possono essere definite accettabili. I termini minimi di vivibilità non sono rispettati». La denuncia collettiva è stata anche provocata dalla recente sentenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo che ha condannato l’Italia a risarcire un carcerato bosniaco proprio a causa delle condizioni di detenzione. Modello di azione di protesta più civile e non violento di così.

E intanto, forse, c’è qualcuno che approfittando del momento di protesta ha deciso di alzare la posta e di creare l’allarme. Allarme violenze e richiesta di una reazione repressiva, come ha ventilato qualche scomposto membro della maggioranza. O dichiarazioni inevitabilmente corporativistiche come quella di Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), che ha lanciato un monito chiaro («Attenzione a non eccedere con il buonismo. Tutte le concessioni che vengono fatte ai detenuti si ripercuotono inevitabilmente sul personale di polizia penitenziaria». Posizione comprensibile, se vista con l’occhio di chi ha come mandato la vigilanza, ma che non contribuiscono certo a raffreddare un’emergenza di un sistema di pena dove la grande maggioranza dei detenuti lo sono più per censo e livello di non inclusione sociale che per reale gravità dei reati. Il carcere, quindi, istituzione totale di rimozione del disagio sociale, della marginalità.

«È stato scientificamente provato che l’indulto non è stato soltanto un provvedimento sacrosanto ma è stato anche efficace – spiega il sociologo Luigi Manconi -. La sua parzialità è individuabile casomai nel fatto che non sia stato accompagnato dallo strumento di amnistia. L’unica salvezza per il sistema delle pene in Italia sarebbe un indulto e un’amnistia e nei tempi più lunghi porre mano con grande decisione sui temi della de-penalizzazione e de-carcerizzazione. E invece oggi si va esattamente nel senso opposto, ovvero verso la iper penalizzazione e iper-carcerizzazione. Di questa tendenza è rappresentazione quanto mai efficace l’inserimento del reato di clandestinità». La popolazione carceraria straniera rappresenta il 30/35 % dell’intero sistema, anche se questa percentuale varia da carcere a carcere. In realtà la situazione della presenza straniera differisce dagli altri Paesi europei solo per quanto riguarda l’attenzione mediatica (spesso distorta o ingigantita) che si da al fenomeno. «L’ordine e il disordine sono le due parole che più frequentemente ricorrono nelle polemiche di carattere politico», scriveva Gramsci nel 1917. Ordine e sicurezza, e il nuovo decreto che di fatto penalizza solo chi è già marginalizzato. «Siamo ancora al codice napoleonico, a quelli ottocenteschi, al codice Rocco dell’era fascista – dichiarava a left Francesco Dall’Olio, Pm a Roma – Dalla riforma del codice Rocco nell’89, gli interventi legislativi, prima Berlusconi, poi Prodi, si succedono senza un progetto complessivo organico. Non si può affrontare l’illegalità con la repressione e basta». E quando si sposta sempre più in alto il limite di questa presunta “legalità”?

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