Offensiva contro le mafie a Ostia. Qualcosa non torna, tutto troppo facile

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Sembra tutto troppo facile. E assolutorio. Posso dirlo? Anche i nomi che escono, il presidente del porto, Fasciani, il clan Spada, le operazioni (alternate) una volta dei carabinieri e un’altra volta della polizia di Stato. E anche il procuratore Pignatone che finalmente non teme di dire “mafia” dopo che a piazzale Clodio perfino la parola “mafia” provocava epidemie di eritemi.  E poi gli ex della Banda della Magliana che ex non sono, e poi le famiglie “di rango” di Cosa nostra, e i fantasmi della French Connection (e tutti quei magistrati che se ne occuparono e sono morti: Giovanni Falcone, Ciaccio Montalto, Pierre Michel). Tutto lì, tutto concentrato fra il pontile e il porto, fra Capocotta e gli stabilimenti tamarri.  Con tanto di benedizione nelle ordinanze cautelari del pentitone Gaspare Spatuzza. Si, tutto credibile, perfino sospettato e risaputo da anni. Ma sempre parlando di Ostia come se Ostia non fosse pezzo di Roma. Come se non ci fossero stati più di 60 morti ammazzati in meno di tre anni. E allora Ostia, come anche in passato. Con quella criminalità mafiosa che si faticava a chiamare con il proprio nome: mafia. Con le enclave facili da individuare, la retorica della terra di mare coatta. Ma de ché!

Dove sono finiti i morti di Tor Sapienza, del Laurentino, di Tor Bella Monaca, della Boccea, della Cassia. E Corso Francia? E la Romanina? E il centro che sembra Berlino Est appena caduto il muro e c’è chi compra tutto? Appartamenti, negozi, perfino “buffi”. Dove sono gli affari, i neo fascisti ripittati e buttati dentro le Spa? Dove sono gli affaristi, gli immobiliaristi improbabili, la mafia dei colletti bianchi che lucrano sulla crisi e sul degrado?

Troppo facile dopo troppo silenzio. Dopo i dossier patinati e le denunce salottiere.

Tutto troppo facile. Ostia caput mundi, e il resto “famo finta de nun vedè”? Nun ce po’ bastà.

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