‘o sistema #informazione. L’acqua calda della #maternità in #Rai. L’omertà. Gli oligarchi

Ci sono giovani aspiranti giornalisti (e non solo) che vengono pagati quattro euro al pezzo. Ci sono articoli, anche se scritti da giornalisti conosciuti, che vengono pagati circa il 35% di dieci anni fa dalla stessa testata a parità di firma e di qualità e contenuto. I contratti sono aleatori, le tariffe minime per i freelance assolutamente non applicate. I pagamenti non avvengono MAI nei tempi previsti dalla legge. I borderò per la maggior parte delle testate vengono saldati anche a un anno di distanza, come minimo a sei mesi. Piccole e rare le eccezioni. Ci sono migliaia di collaboratori (uso il termine migliaia non per impressionare ma perché questi sono i numeri) che non hanno mai visto pagato il proprio lavoro a distanza di anni per testate con tanto di finanziamento pubblico e diffusione nazionale.

In Rai altro che “clausola maternità”. E’ prassi da decenni (più di due decenni) l’applicazione di contratti esterni della durata di 6 mesi. Poi stai a casa un po’ e ti faccio un altro contratto di sei mesi. E così via. Conosco numerose “firme” Rai che vanno avanti così da quindici anni almeno. Qualcuno sta sfiorando i venti. Non parliamo poi del saldo delle fatture da esterni. Se lavori per qualche società “grossa” e ben inserita nel registro dei fornitori Rai (ci sono società che sono in quel registro, non producono nulla da decenni, ma campano facendo letteralmente caporalato, ovvero la cresta sul lavoro altrui) puoi aspettarti il saldo a sei mesi (mediamente funziona così), ma se lavori per una società in disgrazia (sempre politicamente, ovviamente) puoi aspettare il saldo anche un anno, un anno e mezzo, o peggio. La clausola maternità è la punta dell’iceberg, la scoperta dell’acqua calda. C’è una palude contrattuale radicata e mai bonificata da decenni. Il giochetto è tutto sugli “esterni”, sui “fornitori”, su quelli costretti a essere a partita iva nonostante facciano lavoro interno da decenni.

Non va meglio per chi pubblica libri. Ci sono grandi e medie case editrici che campano non pagando gli autori, spesso liquidandoli con irrisori anticipi, e poi strafottendosene di contratti e regole. E leggi. Ogni tanto si fallisce, poi si rinasce. Gli autori non campano. Solo qualche big. Qualche icona commerciale del momento. Il resto è rapina. E omertà.

Nessuno protesta. Casomai ci si limita al mugugno. E difficilmente si arriva in tribunale. Mai visto un mondo così vendicativo come quello dell’editoria e dell’informazione. Se fai causa ti fai terra bruciata attorno, non lavorì più, puoi anche schiattare di fame.

Questo è il sistema. Una roba che non ha eguali in nessun altro paese “democratico” e “civile” e “moderno”.

Poi ci sono i due veri monopoli (equamente suddivisi) che decidono se qualche indipendente cerca di spezzare il meccanismo possa vivere, o meglio sopravvivere. Si chiamano “distribuzione” e “pubblicità”. Di vendite non si campa. E i due monopoli decidono chi vive e chi no. Punto. Diciamolo con chiarezza, visto il sistema che ho appena descritto di produzione pensate che sia possibile puntare sulla qualità e quindi diventare concorrenziale, far aumentare le vendite, invogliare il pubblico ad acquistare i prodotti?

Le responsabilità, ovviamente, sono prima di tutto politiche. Una politica che, per garantirsi un rapporto ricattatorio nei confronti dell’informazione, ha creato mostri monopolistici e corporativistici chiusi e impermeabili da decenni a qualsiasi novità. E complici di questo sistema per convenienza. Prima di tutto l’ordine dei giornalisti, abominio costituzionale creato da un governo democristianissimo – e non dal fascismo come vuole la leggenda – nel 1963. Poi, di conseguenza, l’esistenza di una sola sigla sindacale (eh già! Una sola e soletta). Questi club di eletti garantiscono la continuità del privilegio acquisito (che oggi diventa anche generazionale) e non il pluralismo e la libertà di informazione. Non raccontiamoci balle. Corporativismo. Che al confronto quello dei tassisti, dei notai, dei farmacisti sono niente.

Paradosso vuole che questi organismi (ordine e sindacato) siano nati (l’ordine non so, vista l’origine dal ventre molle della Balena Bianca) con le migliori intenzioni. Ma corrispondenza, ricatto incrociato, dipendenza economica con la politica hanno creato, a quasi cinquant’anni dalla nascita di questo sistema, alla desolazione che abbiamo davanti. Desolazione che neanche la Rete (dove si stanno trasferendo le stesse regole e le stesse dipendenze) riuscirà a mitigare.

Noi parliamo poi degli editori che mi viene da ridere.

Bene, ora ci si scandalizza per la clausola maternità vigente in Rai? Ma scherziamo?

Il cosiddetto riassetto del sistema ipotizzato dal governo Monti spezzerà l’oligarchia (inquinata e inquinante) che domina l’informazione italiana? Ma figuriamoci. Si va perfino a una serie di regole di accesso “classiste” alla professione. Cioè, se sei ricco di famiglia fai un bel triennio per una laurea in un’università privata in giornalismo (con corsi tenuti da qualche gigante dell’informazione italiana come un tal Giorgino solo per fare qualche esempio), gli altri che si attendino al primo sgarro una bella denuncia per “esercizio abusivo della professione”. Che nostalgia dei corsi obbligatori e a pagamento per accedere all’esame dell’ordine. Quella era niente al confronto a quello che sta tirando fuori questo governo.

Allora un “bruci Sansone e tutti i Filistei” alla Beppe Grillo? Certo che no. Grillo se la prende con i piccoli (i giornali in cooperativa, in particolare) e con i giornalisti tutti, se non quelli plaudenti verso la sua barba, per definizione pennivendoli. Pennivendoli a quattro euro al pezzo, pensa tu. Grillo, poi, che se la gioca con certi poteri, non ha di sicuro la patente per parlare di informazione e libertà d’espressione. Al massimo di manipolazione delle masse (piccole, minime, fedeli e utilizzabili in termini di contrattazione). Dal momento che ha deciso di farsi il partitino a conduzione familiare, poi, ha perso ogni credibilità.

Allora cosa? La ricetta sarebbe semplice, sulla carta. Libertà di impresa, concorrenza vera e non inquinata dal finanziamento pubblico attraverso un processo di progressivo abbandono dalla dipendenza verso la Stato, trasparenza dei contratti, associazioni (il plurale non è un refuso) di professionisti e non ordine (con controllo diretto e indiretto da parte della politica) professionale, applicazione di regole antitrust serie su distribuzione e pubblicità. E regole plurali di rappresentanza. Una roba strana, vero? In Italia si.

Si dice che la classe politica sia lo specchio del paese. Il sistema informazione cos’è? Lo scarico del cesso?

Non sono ottimista. Anzi, so che mi attirerò un mare di critiche per queste righe (o un gelido silenzio). Ma chi se ne frega. Andrò a fare il cameriere, il manovale o il barbone (tanto ci manca poco).

E vivrò sicuramente più sereno.

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